Autostima, autoefficacia ed esercizi per accrescerle

La spettacolare Olimpiade di Parigi 2024 è stata una straordinaria occasione per osservare, vivere, ascoltare le testimonianze di tanti protagonisti dello Sport. Per meditare sulla capacità di essere presenti nel “qui ed ora”, determinati, soddisfatti di noi, impegnati nelle nostre passioni a dare il massimo - ma senza l’ossessione del successo e la nevrosi della vittoria a tutti i costi. Come perseguire questi obiettivi di equilibrio, energia, lucidità in coerenza con desideri e valori?


JULIO VELASCO

Il primo personaggio, uno fra i testimoni più significativi del “qui ed ora” è Julio Velasco. E’ proprio il prestigioso tecnico della Pallavolo, infatti, che ha divulgato e reso credibili in ambito sportivo motti, valori e princìpi che potrebbero essere l’insegnamento spirituale di un monaco Zen. Durante le Olimpiadi, a chi gli chiedeva di Atlanta ‘96, della finale persa dalla nazionale maschile al tie-break, rispondeva: “Cos’è successo 28 anni fa? Io non ricordo niente”, ovvero stare a rievocare con dolore e desiderio di rivalsa quella mancata vittoria toglie inutilmente energie. Piuttosto: “Concentriamoci sul Qui ed Ora, 

non su quel che è successo o succederà. Una partita per volta, un punto per volta”. Niente paragoni, niente parallelismi con il passato, ma soprattutto niente ossessioni. “L'importante è la palla dopo”. 

Con una certa ironia, prima della finale olimpica:” Ora abbiamo un sogno: una finale si gioca per vincere. C'è un piccolo problema: esiste anche l'avversario. Ma intanto dobbiamo divertirci, godiamocela, godiamo di quel che abbiamo, non di quel che ci manca”. E aggiunge: "Nello sport si pensa troppo a quello che non si ha e poco a quello che si ha: è una filosofia sbagliata. Io combatto questa filosofia della lamentela, in cui l’erba del vicino è più bella e pensiamo solo a quello che non abbiamo”. Considerazioni che valgono anche fuori dallo sport, nella vita di tutti noi!

E ancora, nel fare da coach al suo gruppo di atlete (fortissime ma stressate dalle aspettative e frenate dalle tensioni nella squadra): “Uno dei pregi di questo gruppo è una grande capacità di cambiare. Ad esempio, abbiamo eliminato un'abitudine che avevano da sempre, di dire “mia” quando sbagliavano, come per addossarsi la colpa. Ma non serve cercare il colpevole di un punto sbagliato, quello che conta è la palla dopo. Hanno smesso facilmente. Le donne hanno grande capacità di disciplina mentale, sono coriacee. Io le ho solo incentivate a essere coraggiose, a non temere l'errore. E loro sono diventate propositive”

DA BENEDETTA PILATO A SERGIO MATTARELLA 

Olimpiadi di Parigi, finale dei 100 rana. Benedetta Pilato arriva al quarto posto, per un centesimo non è terza, ma nonostante si tratti (solo?) di una “medaglia di legno” dichiara: “Ci ho provato fino alla fine, e mi dispiace, però sono lacrime di gioia… è il giorno più bello della mia vita!”. Alcuni commentatori, come Elisa di Francisca, hanno criticato questa reazione, come se fosse sintomo di una scarsa determinazione, una mancata spinta alla vittoria. Ma la nuotatrice tarantina, piuttosto, sente di aver fatto il massimo, è giovanissima (19 anni!), è fiera di essere la quarta ranista più forte al mondo e sicuramente ci riproverà alle prossime Olimpiadi e magari a quelle dopo ancora. 

Il rischio di essere schiacciati dalle aspettative e, oggi, dalle critiche sui Social per chi non ottiene la vittoria o il successo, è grande. Filippo Tortu, componente della magica staffetta 4x100 che ha inaspettatamente vinto l’oro a Tokyo, è rimasto deluso dal quarto posto a Parigi e dalla sua prova personale alquanto insoddisfacente. Ma ha reagito così: “Se ci concentrassimo sempre e solo sui risultati, se ci giudicassimo sempre e solo per le medaglie, perderemmo il senso di quello che lo sport deve insegnare. Sacrificio e amore per quello che si fa devono venire prima dei premi. Voglio godermi il momento, per tutto quello che abbiamo dato, per quanto ci siamo allenati, per tutti i raduni fatti insieme…detto questo, il mio, il nostro desiderio è: la prossima volta, RIVINCITA”

Il presidente Sergio Mattarella, che sta seguendo con piacere le ultime grandi manifestazioni sportive ed è presente anche in questi giorni alle Paralimpiadi, ha pensato bene di dare valore ai “Quarti Posti” di Parigi. E contrastare chi piuttosto tende ad amareggiarsi per i mancati podi. 

Il 23 settembre riceverà dunque al Quirinale non solo i 40 medagliati (d’oro, argento o bronzo), ma anche i tantissimi atleti e atlete che hanno conseguito la “medaglia di legno”. Attraverso questo gesto, Il Presidente della Repubblica esprime la sua riconoscenza ed apprezzamento per i sacrifici e gli sforzi degli atleti/e che hanno raggiunto o sfiorato il podio, ma anche il plauso a tutti coloro che per anni, con passione, costanza e voglia di migliorare, si impegnano negli allenamenti e nelle gare. E affrontano inevitabilmente vittorie e sconfitte.

ZEN+TENNIS= ZENNIS 

Zen significa sperimentare l’attimo presente ed essere grati per il dono stesso della vita. Essere zen significa acquisire piena consapevolezza della connessione con il mondo e sentirsi parte del flusso dell’universo.

Già negli anni 70 fu popolare il libro “Lo zen e il tiro con l’arco”. Più recentemente il coach Peter Spang ha unito in una crasi le due parole Zen e Tennis, da cui “Zennis”. In questo illuminante libro, l’autore racconta come è possibile associare l’esperienza zen con il tennis (o con qualsiasi altra pratica sportiva, e non solo). Vivere cioè lo sport come un’eccellente occasione di meditazione e di consapevolezza del “qui ed ora”.

Naturalmente, è consigliabile acquisire almeno le basi, i fondamentali del tennis, dello sport o dell’arte praticata. Ma poi, vivere lo Zen (ovvero entrare nel “flow” o “in the zone”, come dicono negli USA) significa immergersi completamente, essere tutt’uno con il gioco o l’attività, lasciare sullo sfondo il continuo giudizio su sé o il timore del pubblico, entrare in uno stato di trance con piena sebbene realistica fiducia nelle proprie capacità. 

Spang suggerisce che può essere più facile dopo che ci siamo scaldati bene, dopo che siamo andati oltre i primi livelli della stanchezza… e allora ci lasciamo andare, ci affidiamo all’intuito e all’istinto, seguiamo il gioco con senso del ritmo, con energia e piacere di muoverci. A quel punto riusciamo a padroneggiare l’arte dell’“essere nel momento”, respiriamo pienamente e giochiamo in modo libero e spontaneo.

L’inflessibile e perfezionista autocritica non ci tormenta più, e sentiamo il benessere, la soddisfazione, il flow di tirare e colpire la palla con movimenti fluidi ed efficaci. È un po’ l’esperienza del danzatore, immerso felicemente nella sua danza coordinata, creativa e armonica. O del musicista con il suo strumento, del pittore mentre crea il suo quadro.

Finalmente possiamo assaporare la gioia di poter praticare il proprio sport (o qualsiasi altra nostra passione) con la gratitudine di essere vivi e di sperimentare questi momenti incantevoli e totali.

FILIPPO MACCHI, GLI ARBITRI E IL FAIR PLAY 

Olimpiadi di Parigi, finale del Fioretto maschile. Il nostro giovane schermidore Filippo Macchi è battuto in finale 15-14, dopo un match dalle grandi emozioni, condizionato da due stoccate negategli da un arbitraggio molto discutibile. Le reazioni del Commissario Tecnico della Nazionale sono furiose, lo vediamo sbraitare sotto la pedana mentre i commenti dei telecronisti sono pieni di indignazione e di rabbia. Si sottolinea che gli arbitri provengono dallo stesso continente dell’ avversario di Macchi e quindi per questo lo favoriscono. È proprio in questa situazione che l’atleta ci dà una grande lezione di serenità, di maturità, di fair play. Il giorno successivo scrive questo messaggio social:” Conosco entrambi gli arbitri, non mi viene da puntare il dito contro di loro e colpevolizzarli del mio mancato successo anche perché non porterebbe a nulla, se non a crearmi un alibi”. “Ho sentito commenti quali: ti hanno derubato, è una vergogna, arbitraggio scandaloso. Eppure, a me viene da dire che sono un ragazzo fortunato. Ho 22 anni, una famiglia stupenda, amici strepitosi e una fidanzata che mi lascia costantemente senza parole. Sono arrivato secondo nella gara più importante per ogni atleta che pratica sport. E proprio perché pratico questo sport ho imparato che le decisioni arbitrali vanno rispettate sempre. D’altronde la vita è fatta di ostacoli, a volte si superano, altre volte ci si inciampa e si cade, ma la differenza la fa chi ha la forza di rialzarsi.”

La chiarezza e la maturità di questo atteggiamento sono davvero ammirevoli. Accettare gli arbitraggi e anche gli errori eventualmente compiuti ai nostri danni non significa chinare il capo e accettare passivamente qualunque decisione. Ci sono forme corrette ed assertive per lottare contro le ingiustizie e far sentire le proprie ragioni, nei modi e nei tempi opportuni. 

Ma Fair Play significa evitare le reazioni isteriche e le accuse violente, ricordare che arbitri e giudici di gara hanno una funzione fondamentale nello Sport ma anche loro sono essere umani e possono sbagliare (come sbagliano anche gli atleti e gli allenatori). E mantenere quindi un reale atteggiamento positivo e rispettoso sia dentro che fuori il campo. Magari proponendosi, come Filippo Macchi, di fare ancor meglio e ridurre l’impatto di possibili errori arbitrali.

NICCOLÒ CAMPRIANI: COME DIMENTICARE LA PAURA 

2008 Olimpiadi di Pechino. Niccolò Campriani, tiratore a segno, scopre di avere un avversario interiore, imprevisto e molto agguerrito: il “blocco dell’ultimo colpo”, la paura di fallire nel momento decisivo. Come per un calciatore di fronte al calcio di rigore. La possibilità di una medaglia già quasi vinta sfuma all’ultimo. Ma Niccolò non si abbatte, reagisce con lucidità, dà una svolta alla sua vita. Ottiene una borsa di studio per laurearsi in Ingegneria negli Usa, anche per allontanarsi da un ambiente con troppe aspettative. Si allena intensamente, affiancando all’ allenatore il supporto di uno psicologo dello sport-mental coach. Condivide le sue sensazioni anche con la fidanzata, pure lei tiratrice di ottimo livello. Ed intraprende un viaggio dentro se stesso.

Nel suo libro “Ricordati di dimenticare la paura: cosa fa di un atleta un uomo felice” Campriani narra, con grande e appassionante capacità introspettiva, il proprio profondo processo di maturazione emotiva. La paura da dimenticare è quella di perdere, di sbagliare nel momento cruciale. La paura di fallire e deludere gli altri e soprattutto se stessi. L’ossessione delle aspettative, del confronto, della vittoria come unico risultato possibile per costruire la propria autostima.

Campriani racconta, per esempio, che durante le gare tendeva a guardare continuamente i tiri degli avversari, a pensare di “dover fare la differenza”. Ma poi dice a se stesso, “Fare la differenza da cosa, da chi? Tanto vale allora che guardi il tabellone. Non devo fare nessuna differenza. Devo solo sparare al meglio delle mie possibilità. Senza intenzione. Solo con il sorriso.” E ancora osserva: “Il vero fine non è il centro del bersaglio, il vero fine è il gesto perfetto, assoluto, un gesto puro, talmente puro che lo si può compiere solamente in una condizione di distacco. Anzi, di più: un gesto talmente puro che si compie da sé. Un atleta, un uomo, è felice quando fa il massimo, quando compie un gesto perfetto, quando si guarda allo specchio e non ha rimpianti.”

Il paradosso è che, proprio interiorizzando davvero questo atteggiamento di distacco, di sorriso piuttosto che di tensione, di motivazione intrinseca (il gesto puro) piuttosto che estrinseca (la vittoria a tutti i costi), Niccolò affronta con grande serenità le successive Olimpiadi di Londra 2012 e vince una medaglia d’oro e una d’ argento. E ancora due medaglie d’ oro a Rio de Janeiro 2016, prima di lasciare la carriera agonistica a soli 28 anni. 

Oggi Campriani è direttore sportivo del comitato organizzatore dei giochi olimpici di Los Angeles 2028.

SPORT INCLUSIVO: UNA ENTUSIASMANTE ESPERIENZA PER TUTTI 

Qualche settimana fa si sono svolte le Paralimpiadi, evento che raccoglie sempre più interesse e che offre un felice modello di pratica dello sport, ad alto livello agonistico, per le persone con disabilità. Il punto di forza ma anche il limite di una manifestazione di questo tipo è che, per creare agonismo ad armi pari, è necessario riservare la partecipazione a chi ha delle disabilità.

Esiste però una modalità meno conosciuta ma altrettanto feconda e rilevante per coinvolgere tutti gli appassionati insieme: lo SPORT INCLUSIVO. Sono infatti sempre più diffuse le associazioni che offrono la possibilità concreta di praticare sport (sia individuali che di squadra) in gruppi misti, composti cioè da persone con qualunque tipo di abilità o disabilità.

La stessa espressione persona con disabilità potrebbe del resto essere superata considerando che tutti noi abbiamo delle risorse (o abilità) e delle carenze (o disabilità). Qualcuno suggerisce così di fare riferimento piuttosto al concetto di UNICITÀ. L’ UNICITÀ di ogni essere umano, di ogni essere vivente. O introduce, come Arturo Mariani, la parola PRO-ABILITÀ. Un termine positivo, che ci ricorda la PROATTIVITÀ. Siamo tutti potenzialmente PRO-ABILI, cioè capaci di mettere in atto o sviluppare le nostre abilità. E infatti Arturo Mariani parla di sé non dicendo “sono senza una gamba” ma “con una gamba” (su You Tube guardate per esempio un suo stupefacente video intitolato: “Un ragazzo in gamba”).

Naturalmente, per sviluppare uno sport inclusivo, si tratta di creare opportune e creative modalità di allenamento e metodologie di lavoro, e a volte di adattare i regolamenti in modo da consentire una partecipazione mista e aperta a tutti. 

Qualche giorno fa ho avuto l'occasione di condurre un seminario per la Scuola dello Sport proprio sullo sport inclusivo, con la partecipazione di tanti allenatori e dirigenti sportivi. Insieme abbiamo presentato e condiviso esperienze davvero emozionanti e coinvolgenti.

Si è parlato per esempio del BASKIN (BASKet INclusivo), un adattamento del basket, inventato nel 2003, che consente di giocare affiancando ai due canestri normali due canestri laterali più bassi, per coloro che sono in carrozzina, e valorizzando tramite opportune regole il contributo di tutti. Oppure il CALCIO CAMMINATO. Si gioca in un campo più piccolo con sostituzioni illimitate, ma soprattutto con il divieto di correre e dei contatti fisici. Si rende così possibile la partecipazione insieme di maschi e femmine, di giovani e vecchi. 

Nel RUGBY esistono poi le MIXED ABILITY sessions (nate in Gran Bretagna), in cui scendono in campo atleti con ogni tipo di abilità o disabilità, equamente distribuiti nelle due squadre. O una variante definita TAG RUGBY in cui il placcaggio è sostituito da un tag (nastro o etichetta) che ogni giocatore porta alla cintura e che l’avversario deve riuscire a rimuovere per fermarlo. In questo caso, evitando il contatto fisico rude e diretto, si apre la partecipazione a tutti.

Negli SPORT INDIVIDUALI, dal tiro con l’ arco al nuoto all’ atletica leggera etc, un modo molto divertente per allenarsi o gareggiare insieme è creare delle STAFFETTE, in cui appunto sono distribuite le capacità dei partecipanti, o dei gruppi misti (fra bravi e meno bravi, fra abili e meno abili, fra maschi e femmine, giovani o vecchi…) per confrontarsi aggregando i punteggi o i tempi. 

Un'ultima realtà da citare è quella degli sport con accompagnatori o guide. Mi ha colpito per esempio un’esperienza chiamata CON TATTO VERTICALE, in cui si rende possibile a persone non vedenti l’ ARRAMPICATA SPORTIVA, in sicurezza, con la guida di un tutor. Si tratta non solo di una straordinaria opportunità per chi è non vedente, ma anche per il tutor che può entrare in una dimensione completamente nuova e di grande ricchezza umana, attraverso la creazione della fiducia interpersonale, di una sinergia fra capacità e attitudini diverse e appunto “uniche”.



Mi puoi trovare su:

Iscritto all’ Albo dell’ Ordine degli Psicologi della Toscana con il numero 412 (dal 1989)

© Copyright 2025, fatto da Thomas Mazzolini

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